La caccia alle marmotte sulle Prealpi italiane durante il Tardoglaciale: dati sperimentali e analisi morfometrica 3D di impatti di proiettile su resti faunistici.
DOI:
https://doi.org/10.15160/1824-2707/1530Abstract
Nonostante la sempre più vasta applicazione di metodi quantitativi ad alta risoluzione in campo tafonomico, sono pochi gli studi incentrati sul riconoscimento di impatti di proiettile su resti faunistici. Per questo motivo, in un precedente lavoro abbiamo esplorato la potenzialità della microscopia 3D nella distinzione di lesioni ossee dovute ad impatti balistici da altre tracce tafonomiche, sviluppando un metodo diagnostico di ampio utilizzo basato su dati sperimentali e incentrato su proiettili tardo epigravettiani (Duches et alii 2016). Nonostante sia stato possibile confermare la validità di questo metodo su resti archeozoologici appartenenti a mammiferi di media taglia (Nannini et alii submitted), l’affidabilità del campione sperimentale in rapporto ad animali di piccola taglia necessitava ulteriori verifiche: la dimensione e lo spessore delle ossa, infatti, potevano condizionare la resistenza delle ossa all’impatto, influenzando la morfometria degli impatti e la rappresentatività delle diverse categorie di tracce da impatto. Per indagare queste problematiche, un ottimo contesto di indagine è costituito dai siti tardoglaciali dell’Italia nord-orientale interpretati quali accampamenti specializzati nella caccia alla marmotta (Romandini et alii 2012). Migliaia di ossa di marmotta dalle Grotte Verdi di Pradis (Prealpi Carniche, regione Friuli Venezia Giulia) testimoniano ad esempio lo sfruttamento di un numero minimo di 571 individui, che a loro volta rappresentano circa il 98,8% dell’intero insieme faunistico.
Allo scopo di essere il più coerenti possibile con i dati archeologici, la sperimentazione balistica ha coinvolto 8 carcasse fresche di nutria (Myocastor coypus), usate come bersaglio di 130 frecce armate con punte a dorso e lamelle a dorso e troncatura. Dal momento che la sperimentazione ha portato alla formazione di un’unica puncture e, al contrario, di numerose drags e fratture, si è potuto desumere che lo spessore e le dimensioni delle ossa incidano realmente sulla rappresentatività delle diverse categorie di tracce da impatto.
Se l’applicazione della microanalisi 3D nell’analisi di differenti tracce tafonomiche ha precedentemente dimostrato come solo drags e punctures siano diagnostiche d’impatto (Duches et alii 2016), questa nuova sperimentazione ha stabilito che solo i drags sono effettivamente rilevanti per l’identificazione di impatti di proiettile su resti archeozoologici di piccoli mammiferi. La generale coerenza dei dati morfometrici dei drags ottenuti in entrambe le sperimentazioni, prova inoltre come le caratteristiche degli impatti non siano influenzate dalla dimensione e dallo spessore delle ossa colpite. I dati 3D, processati statisticamente, provano infatti che svariati parametri morfometrici dei drags - come la profondità del taglio, l’ampiezza dell’apertura del taglio, l’ampiezza della base del taglio, l’angolo di ingresso e l’indice RTF (rapporto tra l’ampiezza dell’apertura del taglio e l’ampiezza della base del taglio) – siano coerenti in entrambe le sperimentazioni e significativamente differenti a livello statistico da quelli dei cut-marks.
Basandoci dunque sui dati sperimentali per l’interpretazione delle tracce archeologiche rinvenute sui resti di Pradis, si sono potuti identificare con certezza almeno 9 drags su ossa di marmotta. Questo risultato conferma la predazione della marmotta alpina da parte dei gruppi epigravettiani attraverso l’uso di arco e frecce e arricchisce l’attuale dibattito sulla caccia ai piccoli mammiferi durante il Tardoglaciale